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mercoledì 16 ottobre 2013

"IL LIBERALISMO E' UN PECCATO" di Don Félix Sardà y Salvany, (Capitolo 22°)...



Continuiamo la publicazione del  LIBRO "IL LIBERALISMO E' UN PECCATO" DI Don Félix Sardà y Salvany.
 
«La parte dottrinale di cotesto libro, la quale riguarda il liberalismo, è eccellente, conforme ai documenti di Pio IX e di Leone XIII, e giudicata dalla Sacra Congregazione dell'Indice dottrina sana.» La Civiltà Cattolica, anno XXXIX, vol. IX della serie XIII, Roma 1888, pag. 346. 
 http://www.seldelaterre.fr/I-Grande-12040-le-liberalisme-est-un-peche-nouvelle-edition.net.jpg
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Cap. 22 -- la carità nelle forme della polemica: i liberali hanno ragione su questo punto contro gli apologisti cristiani ?

Non è tuttavia sul terreno dei principi del liberalismo tiene prima di tutto a dare battaglia, sa troppo bene che nella discussione sui principi, esso avrebbe a subire un'irrimediabile disfatta. Preferisce accusare senza interruzione i cattolici di esercitare poca carità nelle forme della loro propaganda. E’ su questo punto, come abbiamo già detto, che certi cattolici, in fondo buoni, ma intaccati di liberalismo, si scagliano ordinariamente contro di noi.
Vediamo ciò che c'è da dire su questo punto. Cattolici noi abbiamo ragione su questo punto come su tutti gli altri, me i liberali non ne hanno neppure l'ombra. Fermiamoci un momento per convincerci di ciò sulla base delle seguenti considerazioni:

1°)- il cattolico può trattare apertamente il suo avversario in quanto " liberale", se egli lo è realmente, e questo nessuno lo metterà in dubbio. Se un autore, un giornalista, un deputato fa mostra di liberalismo e non nasconde le sue preferenze liberali, come si può dire che lo si insulta chiamandolo " liberale" ? Si palam res est, repetitio injuria non est : "dire ciò che tutti sanno non è un'ingiuria.". A maggior ragione, dire del prossimo ciò che lui stesso afferma in  tutti i momenti, non può costituire offesa. Quanti liberali tuttavia, soprattutto nel gruppo delle persone miti e di quelle moderate, giudicano ingiuriose le espressioni di "liberali" o "amici dei liberali" riferite loro da qualche avversario cattolico.

2°)-essendo dato che il liberalismo è una cosa malvagia, definire malvagi i difensori pubblici e coscienti del liberalismo, non è una mancanza di carità.
Si tratta in sostanza, di applicare al caso presente la legge di giustizia in uso in tutti i secoli. Noi, cattolici di oggi, non diciamo nulla di nuovo a questo riguardo. Noi ci atteniamo alla pratica costante dell'antichità. I propagandisti e i fautori delle eresie sono stati in tutti tempi definiti eretici quanto i loro autori. E siccome l'eresia è sempre stata considerata nella Chiesa come un male dei più gravi, la Chiesa ha sempre definito malvagi e cattivi i suoi fautori e propagatori. Vedete l'insieme degli autori ecclesiastici, voi noterete come gli apostoli hanno trattato i primi eresiarchi, come i santi padri, i controversisti moderni e la Chiesa stessa nel suo linguaggio ufficiale, li hanno imitati. Non c'è dunque alcun peccato contro la carità nel chiamare il male “Male”, malvagi gli autori, fautori e discepoli del male, iniquità, scelleratezza, perversità, l'insieme dei loro atti, parole e scritti. Il lupo è stato sempre chiamato lupo senza giri di parole, e mai chiamandolo così si è creduto di fare torto al gregge e al suo pastore.

3°)- se la propaganda del bene e la necessità di attaccare il male esigono l'impiego di termini un poco duri contro gli errori e i loro corifei riconosciuti, questo impiego non è assolutamente contrario alla carità. Vi è qui un corollario o una conseguenza del principio sopra dimostrato. Occorre rendere male detestabile e odioso. Ora non si ottiene questo risultato senza mostrare i pericoli del male, senza dire quanto esso sia perverso, odioso e da disprezzare. L'arte oratoria cristiana di tutti i secoli autorizza l'impiego delle figure retoriche più violente contro l'empietà. Negli scritti dei grandi atleti del cristianesimo, l'uso dell'ironia, dell'imprecazione, dell'esasperazione, degli epiteti "pesanti" è continuo. In questo campo l'unica legge deve essere l'opportunità e la verità.
Esiste ancora un'altra giustificazione per questo uso di termini un poco duri.
La propaganda e l'apologetica popolari (esse sono sempre popolari quando sono religiose) non possono conservare le forme eleganti e temperate dell'accademia e della scuola. Per convincere il popolo occorre parlare al suo cuore e alla sua immaginazione che non possono essere toccate che da un linguaggio colorato, bruciante, appassionato. Essere appassionati non è reprensibile quando lo si è per un santo ardore di Verità.
Le pretese violenze del giornalismo ultramontano moderno non solo sono molto inferiori a quelle del giornalismo liberale, ma esse sono ancor più giustificate da tutte le pagine delle opere dei nostri grandi polemisti cattolici delle epoche migliori, ciò che è facile da verificare.
San Giovanni battista cominciò col chiamare i farisei: "razza di vipere". Gesù Cristo nostro Signore lanciò loro gli epiteti "di ipocriti, di sepolcri imbiancati, di generazione perversa e adultera" senza per questo credere di macchiare la santità della sua predicazione così misericordiosa.

San Paolo stesso diceva dei scismatici di Creta che si erano dei "mentitori, delle bestie selvagge, fannulloni obesi". Il medesimo apostolo definisce il mago Elymas "seduttore, uomo pieno di frode e di furberia, figlio del diavolo, nemico di ogni verità e giustizia". 
Se noi apriamo la collezione delle opere dei Padri,  incontriamo dappertutto degli scritti di questa natura. Essi li impiegarono senza esitare, in ogni occasione, nella loro eterna polemica con gli eretici. Limitiamoci a citare qualcuno dei principali.
San Girolamo discutendo con l'eretico Vigilanzio gli getta in faccia la sua antica professione di cabarettista. "Dai tempi della  tua prima infanzia, gli disse, tu apprendesti altra cosa che la teologia e ti abbandonasti ad altri studi. Nello stesso tempo verificare il valore delle monete e quello dei testi delle Scritture, degustare i vini e  possedere il significato dei profeti e degli apostoli :queste non sono certamente cose in cui lo stesso uomo possa cavarsela con onore". È facile rendersi conto della predilezione del Santo controversista per questa maniera di discreditare il proprio avversario. In un'altra occasione, attaccando il medesimo Vigilanzio, che negava l'eccellenza della verginità e del digiuno, gli domanda col suo solito buon umore se il motivo della sua opposizione a queste virtù non fosse il minore afflusso che avrebbero causato al suo cabaret.
Oddio ! Che grida avrebbero gettato i critici liberali, se uno dei nostri controversisti  avesse scritto in questo modo contro l'eretico del giorno!
Che diremmo di San Giovanni Crisostomo ? La sua famosa invettiva contro Eutropio non è paragonabile, dal punto di vista del carattere personale e dell'aggressività, che alle più crudeli invettive di Cicerone contro Catilina o contro Verre. Il dolce San Bernardo non era certamente di miele allorquando si trattava dei nemici della Fede. Indirizzandosi ad Arnaldo da Brescia, il grande agitatore liberale del suo tempo, egli lo definisce in tutte le lettere "seduttore, vaso di iniquità, scorpione, lupo crudele".

Il pacifico San Tommaso d'Aquino dimentica la calma dei suoi freddi sillogismi per lanciare contro il suo avversario Guglielmo da Saint-Amour e i suoi discepoli le violente parole che seguono. "Nemici di Dio, ministri del diavolo, membra dell'anticristo, ignoranti, perversi, riprovati". Mai l'illustre Louis Veuillot ne ha dette tante !
Il serafico San Bonaventura così pieno di dolcezza si serve contro Gérald di tali epiteti: "impudente, calunniatore, spirito di malizia, empio, in pubblico, ignorante, impostore, malfattore, perfido e insensato".
Nei tempi moderni noi vediamo apparire la splendida figura di San Francesco di Sales che per la sua delicatezza squisita e la sua ammirevole mansuetudine hanno chiamato " l'immagine vivente del Salvatore". Voi credete che egli ebbe dei riguardi per gli eretici della sua epoca del suo paese ? Vediamo dunque !
Egli perdonò loro le ingiurie e li riempì di benefici, arrivò fino a salvare la vita di quelli che avevano attentato alla sua, fino al punto di dire a uno dei suoi avversari: "se voi mi strappaste un occhio, io non smetterei con l'altro di guardarvi come un fratello"; ma con i nemici della Fede, egli non conservava alcuna moderazione, alcuna considerazione.

Interrogato da un cattolico desideroso di sapere se gli era permesso di parlare male di un eretico che spargeva cattive dottrine, egli gli rispose: "sì, voi potete a condizione di attenervi all'esatta verità, a ciò che voi sapete della sua malvagia condotta, presentando ciò che è dubbioso come dubbioso e secondo il grado più o meno grande di dubbio che voi avrete a questo riguardo".
Nella sua “Introduzione alla vita devota", libro così prezioso e popolare, egli si esprime più chiaramente ancora: "i nemici dichiarati di Dio e della Chiesa, dice a Filoteo, devono essere biasimati e censurati con tutta la forza possibile. La Carità ci obbliga a gridare al lupo, quando un lupo si sia infiltrato in mezzo al gregge e allo stesso modo in quei luoghi in cui vi sia il rischio di incontrarlo".
Sarà dunque necessario per noi di fare un corso pratico di retorica e di critica letteraria per affrontare i nostri nemici ? Insomma, noi abbiamo appena detto ciò che c'è di vero nella questione tanto dibattuta delle forme aggressive utilizzate dagli scrittori cattolici ultramontani, cioè dai veri cattolici. La carità ci proibisce di fare gli altri ciò che ragionevolmente non vorremmo che fosse fatto a noi. Notate l'avverbio "ragionevolmente", esso specifica tutta l'essenza della questione.
La differenza essenziale che esiste tra la nostra maniera di vedere e quella dei liberali a questo proposito, consiste nel fatto che essi considerano gli apostoli dell'errore come dei semplici cittadini liberi, che usano il loro pieno diritto quando esprimono il proprio parere, in materia di religione, diversamente da noi. Di conseguenza essi si credono tenuti a rispettare l'opinione di chiunque e di non contraddirla se non nei termini di una discussione libera.
Noi altri, al contrario, vediamo in essi i nemici dichiarati della Fede che noi siamo obbligati a difendere. Noi non vediamo nei loro errori delle libere opinioni, ma delle eresie formali e colpevoli, nel modo che ce lo insegna la Legge di Dio.
È dunque con ragione che un grande storico cattolico ha detto ai nemici del cattolicesimo: "Voi vi rendete infami con i vostri atti ed io arriverò a coprirvi d'infamia con i miei scritti". In questo stesso modo la legge delle 12 tavole ordinava alle virili generazioni dei primi tempi di Roma: Adversus hostem aeterna auctoritas esto ! Ciò che può essere tradotto così: "contro il nemico, mai nessuna tregua !".

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